Il sistema delle professioni intellettuali in Italia presenta un paradosso che solleva interrogativi profondi sulle scelte di politica legislativa degli ultimi decenni. Mentre i cittadini rinunciano alle cure mediche per l’impossibilità di trovare specialisti disponibili, le aule dei tribunali traboccano di controversie gestite da un numero crescente di professionisti forensi che spesso lavorano per compensi modesti o addirittura simbolici. Questa asimmetria tra domanda e offerta nelle professioni regolamentate merita un’analisi approfondita.
Il numero chiuso: una scelta selettiva
La questione del numero chiuso rappresenta il cuore del paradosso. L’accesso alle professioni sanitarie è rigidamente contingentato attraverso test d’ingresso che limitano drasticamente il numero di studenti ammessi alle facoltà di medicina. Questa scelta, giustificata dalla necessità di garantire standard formativi elevati e di evitare la proliferazione di professionisti inadeguatamente preparati, ha prodotto nel tempo una carenza strutturale di medici.
Al contrario, l’accesso alla professione forense non conosce limitazioni numeriche. L’articolo 17 della legge n. 247 del 2012 stabilisce i requisiti per l’iscrizione all’albo degli avvocati, ma non prevede alcun contingentamento numerico. Chiunque possieda il diploma di laurea in giurisprudenza e superi l’esame di Stato può iscriversi all’albo e iniziare l’esercizio della professione.
Le conseguenze della saturazione del mercato forense
L’assenza di limitazioni numeriche ha prodotto un incremento esponenziale del numero di avvocati iscritti agli albi. Questa proliferazione ha inevitabilmente generato una saturazione del mercato professionale, con conseguenze significative sulla sostenibilità economica della professione.
La competizione crescente ha innescato una spirale al ribasso dei compensi professionali. Molti avvocati, particolarmente quelli nelle prime fasi della carriera, si trovano costretti ad accettare incarichi per cifre modeste o addirittura simboliche, pur di acquisire clientela e costruire una reputazione professionale.
I portali di intermediazione legale hanno ulteriormente accentuato questo fenomeno, trasformando la prestazione intellettuale in una commodity dove il prezzo diventa spesso l’unico criterio di selezione. Come evidenziato dalla giurisprudenza di merito, quando le parti hanno concordato un compenso, questo prevale sulle tariffe professionali, ma la prassi dimostra che tali accordi vengono spesso raggiunti in condizioni di forte asimmetria contrattuale a svantaggio del professionista.
La crisi del sistema sanitario
Parallelamente, il sistema sanitario nazionale affronta una crisi di disponibilità di personale medico che assume dimensioni sempre più preoccupanti. I tempi di attesa per visite specialistiche si allungano progressivamente, costringendo molti cittadini a rinunciare alle cure o a rivolgersi al settore privato con costi spesso insostenibili.
La carenza di medici si manifesta particolarmente in alcune specializzazioni e in determinate aree geografiche, creando veri e propri “deserti sanitari” dove l’accesso alle cure diventa problematico. Questa situazione compromette il diritto costituzionale alla salute e genera disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi sanitari.
Il Tribunale: un’aula sempre affollata
Mentre gli ambulatori medici restano vuoti per mancanza di professionisti, le aule dei tribunali sono costantemente affollate di controversie. Il contenzioso civile italiano presenta numeri impressionanti, con milioni di cause pendenti che alimentano un mercato professionale saturo.
Questo fenomeno solleva interrogativi sulla proporzionalità tra le risorse umane dedicate alla tutela della salute e quelle destinate alla gestione del contenzioso. La società italiana sembra aver investito massicciamente nella formazione di professionisti del diritto, trascurando contestualmente la necessità di garantire un numero adeguato di professionisti sanitari.
Le scelte del legislatore: un errore di valutazione?
La domanda che emerge spontanea riguarda la razionalità delle scelte legislative che hanno prodotto questa situazione. È possibile che i professionisti della salute debbano essere a numero chiuso mentre quelli del diritto no? Cosa è più importante per la collettività: garantire l’accesso a un legale gratuito o a un medico gratuito?
L’articolo 2229 del codice civile demanda alla legge la determinazione delle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi, ma non impone criteri uniformi per l’accesso alle diverse professioni.
La Corte Costituzionale ha recentemente affrontato questioni relative all’equilibrio tra l’interesse pubblico alla regolamentazione delle professioni e i diritti fondamentali dei professionisti, evidenziando la necessità di un test di proporzionalità nelle restrizioni imposte.
L’impatto economico sulle professioni
La differenza nella regolamentazione dell’accesso si riflette inevitabilmente sui compensi professionali. I medici, grazie alla scarsità relativa dell’offerta rispetto alla domanda, riescono a mantenere livelli retributivi adeguati per ogni consulto. Ogni visita medica, anche quella più breve, comporta un compenso che raramente scende sotto determinate soglie.
Gli avvocati, al contrario, si trovano spesso a lavorare per cifre modeste o addirittura gratuitamente, particolarmente nelle fasi iniziali del rapporto con il cliente. Come evidenziato dalla giurisprudenza di merito, la prestazione forense si configura come obbligazione di mezzi e non di risultato, ma questo principio giuridico non impedisce che nella pratica molti professionisti si trovino a lavorare senza adeguata remunerazione.
Il problema del recupero dei crediti professionali
Un ulteriore elemento critico riguarda la difficoltà per gli avvocati di recuperare i propri crediti professionali, particolarmente quando si tratta di importi modesti. L’articolo 13 della legge professionale forense stabilisce che il compenso deve essere pattuito di regola per iscritto, ma nella pratica questa formalizzazione viene spesso omessa.
Quando l’incarico ha valore modesto e non viene richiesto un acconto, accade frequentemente che il cliente non corrisponda il compenso finale. Il professionista si trova così in una situazione paradossale: per recuperare poche centinaia di euro dovrebbe intraprendere un’azione legale con costi e tempi sproporzionati rispetto all’importo, confidando proprio sul fatto che il legale non agirà per cifre così contenute.
La giurisprudenza ha chiarito che l’omesso rilascio del preventivo scritto non pregiudica il diritto del professionista a ottenere il compenso, come stabilito dalla Corte d’appello dell’Aquila, ma nella pratica l’assenza di documentazione scritta rende estremamente difficoltoso il recupero del credito oltre ad esporre il professionista alla contestazione di un illecito deontologico da parte del consiglio di disciplina forense.
La tutela del consumatore: un’arma a doppio taglio
Un ulteriore elemento di complessità deriva dall’applicazione della disciplina consumeristica ai rapporti tra avvocato e cliente. Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, il cliente che conferisce l’incarico per far valere pretese quali consumatore va qualificato consumatore anche nel rapporto con il proprio legale, con conseguente applicazione del foro inderogabile previsto dal Codice del Consumo.
Questa tutela rafforzata del cliente, pur legittima nelle sue finalità, contribuisce a rendere ancora più complesso per il professionista il recupero dei propri crediti, particolarmente quando si tratta di importi modesti che non giustificano l’instaurazione di contenziosi in sedi giudiziarie lontane.
Verso una riforma del sistema delle professioni?
La situazione attuale sollecita una riflessione profonda sulla necessità di riformare il sistema di accesso alle professioni intellettuali. L’articolo 9 del decreto legge n. 1 del 2012 ha introdotto disposizioni sulle professioni regolamentate, ma non ha affrontato la questione del numero chiuso.
Una riforma equilibrata dovrebbe considerare l’introduzione di meccanismi di programmazione dell’accesso anche per la professione forense, non necessariamente attraverso un numero chiuso rigido come quello delle facoltà di medicina, ma attraverso strumenti che garantiscano una corrispondenza più equilibrata tra il numero di professionisti formati e le effettive opportunità di esercizio della professione in condizioni economicamente sostenibili.
Il ruolo della formazione continua
Un elemento spesso trascurato riguarda la qualità della formazione professionale. Mentre per i medici esistono percorsi di specializzazione post-laurea rigorosi e prolungati, per gli avvocati il periodo di praticantato, pur recentemente riformato, non sempre garantisce una preparazione adeguata alle complessità della professione moderna.
L’articolo 3 della legge professionale forense stabilisce che la professione deve essere esercitata con competenza, ma non prevede meccanismi stringenti di verifica della competenza effettiva nel corso della carriera professionale.
La dignità delle professioni intellettuali
Al di là delle considerazioni economiche, la questione investe la dignità stessa delle professioni intellettuali. Una professione esercitata spesso gratuitamente o per compensi simbolici perde inevitabilmente prestigio sociale e attrattività per le nuove generazioni più qualificate.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità di tener conto di particolari finalità sociali nella determinazione degli onorari professionali, ma ha anche sottolineato che l’osservanza dei principi costituzionali di tutela del lavoro va commisurata all’attività complessiva dispiegata dai professionisti.
Raccomandazioni per i cittadini
In questo contesto, i cittadini devono essere educati a riconoscere il valore della consulenza professionale qualificata. Prima di affidarsi a consulenze online gratuite o a basso costo, dovrebbero considerare che un consulto legale di qualità rappresenta un investimento nella tutela dei propri diritti.
Il risparmio iniziale derivante da consulenze gratuite può trasformarsi in costi molto più elevati in caso di errori o omissioni. Come evidenziato dalla giurisprudenza, la prestazione forense richiede competenza specialistica e diligenza qualificata, elementi che difficilmente possono essere garantiti in contesti di gratuità o di competizione esclusivamente basata sul prezzo.
all’albo comporta la nullità del contratto e l’impossibilità per il professionista di ottenere il compenso, come stabilito dalla Cassazione civile.
La presenza online qualificata: l’alternativa alla cinesizzazione della professione forense
Di fronte al paradosso delle professioni intellettuali che caratterizza il sistema italiano, con un eccesso di avvocati costretti a competere al ribasso e una carenza di medici che compromette l’accesso alle cure, emerge con forza la necessità per i professionisti del diritto di adottare strategie alternative ai portali di intermediazione basati sulla competizione di prezzo.
Investire nei contenuti, non nella guerra dei prezzi
La soluzione per gli avvocati non può risiedere nella partecipazione a meccanismi di asta telematica che trasformano la prestazione intellettuale in una commodity dove il prezzo diventa l’unico criterio di selezione. Investire in contenuti significa costruire una presenza online basata sulla dimostrazione della propria esperienza, competenza e specializzazione, attraverso la produzione continuativa e curata di materiale informativo di qualità.
Scrivere con continuità e cura articoli specialistici, guide pratiche, approfondimenti normativi e analisi giurisprudenziali su testate dedicate consente ai professionisti di farsi conoscere al pubblico telematico per la propria esperienza effettiva, per le competenze maturate in specifici settori del diritto, per la capacità di affrontare questioni complesse con rigore metodologico. Questo approccio rappresenta l’antitesi della gara sui prezzi, che comporta solo una progressiva “cinesizzazione” della professione forense, intesa come svalutazione sistematica del valore della prestazione intellettuale.
L’articolo 10 della legge professionale forense consente la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, precisando che essa “deve essere trasparente, veritiera, corretta e non deve essere comparativa con altri professionisti, equivoca, ingannevole, denigratoria o suggestiva”. La produzione di contenuti specialistici rappresenta la forma più nobile e deontologicamente corretta di pubblicità informativa, poiché dimostra competenza senza svilire la professione attraverso competizioni di prezzo.
Il Content Marketing come valorizzazione della competenza
La giurisprudenza ha chiarito che la liberalizzazione della pubblicità informativa operata dal decreto Bersani non esclude il sindacato disciplinare sulle modalità con cui tale pubblicità viene realizzata. Come stabilito dalla Cassazione civile con sentenza n. 14368 del 2012, “resta irrilevante che la normativa consenta la pubblicità informativa, poiché la disposizione non incide sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata”.
La produzione di contenuti specialistici rappresenta una modalità di pubblicità informativa pienamente conforme ai principi deontologici, poiché si basa sulla dimostrazione della competenza attraverso l’approfondimento tecnico-giuridico piuttosto che su slogan suggestivi o competizioni di prezzo. Come evidenziato dalla Cassazione civile con sentenza n. 10304 del 2013, costituisce pubblicità lesiva del decoro quella che si basa su “messaggi pubblicitari eccedenti l’ambito informativo razionale”.
Google premia la qualità dei contenuti
Un aspetto fondamentale da considerare riguarda la capacità di Google di riconoscere e premiare i contenuti di qualità. Il motore di ricerca ha sviluppato algoritmi sempre più sofisticati per identificare i portali che offrono reale valore informativo agli utenti, posizionandoli nei primi risultati di ricerca indipendentemente dagli investimenti pubblicitari.
Quando un utente effettua una ricerca specifica come avvocato antiriciclaggio, avvocato diritto bancario o avvocato responsabilità medica, Google è perfettamente in grado di discernere quali sono i portali con contenuti maggiormente conformi alla richiesta, premiando chi ha investito nella produzione di contenuti specialistici, autorevoli e aggiornati.
Questo principio sottolinea l’importanza per i professionisti di investire nella creazione di contenuti di qualità piuttosto che affidarsi a portali di terzi che innescano competizioni al ribasso. La presenza digitale costruita attraverso contenuti specialistici rappresenta un investimento a lungo termine che valorizza la competenza professionale e attrae clienti qualificati disposti a riconoscere il valore della prestazione intellettuale.
Scrivere su blog e testate specializzate
I professionisti, anche non dotati di propri portali individuali, hanno la possibilità di pubblicare articoli su blog specifici del settore o testate specializzate. Molte di queste piattaforme, come Il blog dei professionisti, consentono di scrivere senza alcun corrispettivo economico, offrendo però al legale visibilità per le proprie competenze e specializzazioni.
Questo approccio consente di farsi conoscere per ciò che si sa fare, per le proprie aree di eccellenza, per la capacità di affrontare questioni giuridiche complesse con rigore metodologico. La pubblicazione continuativa su blog specializzati costruisce progressivamente una reputazione professionale basata sulla competenza dimostrata, non sul prezzo offerto.
L’articolo 3 della legge professionale forense stabilisce che “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza”. La produzione di contenuti specialistici rappresenta la manifestazione concreta di questi principi, dimostrando competenza attraverso l’approfondimento tecnico-giuridico piuttosto che attraverso la competizione di prezzo.
La responsabilità delle scelte politiche
Purtroppo, l’eccesso di avvocati che caratterizza il mercato italiano ha inevitabilmente questo effetto di svalutazione della professione. La colpa non è dei legali, che devono sopravvivere in un mercato saturo e sono spesso costretti ad accettare condizioni economiche inadeguate, ma delle politiche scellerate dei governi che hanno voluto pochi camici bianchi e molte toghe; scelte che proseguono tuttora con i soliti vecchi quiz sotto altra veste.
Questa scelta legislativa non ha considerato che l’impegno per diventare avvocato non è sicuramente inferiore a quello per diventare medico. Il percorso formativo richiede una laurea magistrale in giurisprudenza di durata quinquennale, un periodo di praticantato di diciotto mesi, il superamento di un esame di Stato particolarmente selettivo, e poi anni di esperienza per acquisire le competenze necessarie a gestire autonomamente questioni giuridiche complesse.
Molti degli avvocati che oggi devono ingaggiare la lotta dei prezzi per sopravvivere professionalmente ben avrebbero potuto essere dirigenti medici in reparti ospedalieri, contribuendo a risolvere la carenza di professionisti sanitari che affligge il sistema italiano. Questi professionisti possiedono le capacità intellettuali, la dedizione allo studio e la preparazione metodologica che avrebbero consentito loro di eccellere anche in ambito medico, se solo il sistema di accesso alle professioni fosse stato più equilibrato.
Dignità professionale e sostenibilità economica
La partecipazione a portali che innescano competizioni al ribasso non rappresenta solo un problema economico per i singoli professionisti, ma compromette la dignità stessa della professione forense. Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l’attività forense non è una mera attività libero-professionale riconducibile a logica di mercato, ma comporta una forte valenza pubblicistica in quanto l’avvocato è necessario partecipe dell’esercizio diffuso della funzione giurisdizionale.
Questa peculiarità della professione forense giustifica un approccio alla presenza online che valorizzi la competenza professionale piuttosto che la competizione di prezzo. L’articolo 8 della legge professionale forense prevede che l’avvocato, all’atto dell’assunzione dell’impegno solenne, si impegni ad osservare con “lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia”.
Questo impegno solenne non può essere conciliato con la partecipazione a meccanismi che trasformano la prestazione intellettuale in una commodity dove il prezzo diventa l’unico criterio di selezione. La dignità della professione forense richiede che i professionisti investano nella dimostrazione della propria competenza attraverso contenuti di qualità, costruendo una reputazione basata sull’eccellenza tecnica piuttosto che sul prezzo più basso.
Conclusione: una scelta di dignità professionale
Di fronte al paradosso di un sistema che ha prodotto troppi avvocati e troppo pochi medici, la risposta dei professionisti del diritto non può essere quella di piegarsi alla logica della competizione al ribasso. Investire in contenuti significa scegliere la dignità professionale, costruire una presenza online basata sulla dimostrazione della propria esperienza e competenza, farsi conoscere per ciò che si sa fare piuttosto che per il prezzo che si è disposti ad accettare.
La “cinesizzazione” della professione forense non è un destino inevitabile, ma il risultato di scelte individuali e collettive. Ogni professionista che sceglie di investire nella produzione di contenuti di qualità piuttosto che partecipare a gare di prezzo contribuisce a preservare la dignità della professione e a costruire un mercato più equilibrato, dove la competenza prevalga sul prezzo.
Solo attraverso questo approccio sarà possibile correggere, almeno parzialmente, gli errori delle politiche legislative che hanno prodotto l’attuale squilibrio tra professioni intellettuali, garantendo ai professionisti del diritto una sostenibilità economica dignitosa e alla collettività l’accesso a servizi legali di qualità.
